di Andrea de Manincor
regia Solimano Pontarollo
con Anna Benico, Sabrina Modenini, Annalisa Cracco, Andrea de Manincor, Enrico Ferrari
luci Francesco Bertolini
scene Simone Tessari
Antigone di Sofocle.
Una tragedia che tratta una vicenda esemplare. Antigone mette in campo un’opposizione, l’opposizione alle imposizioni di uno stato, incarnato da Creonte, e una frizione che diventa conflitto, cioè alle imposizioni/leggi dello stato si oppone un’unica legge di Natura, superiore, che finisce per essere gravame di lutto non solo su Antigone, che paga la difesa di quella legge di Natura con la morte, ma anche su Creonte, che in nome dell’imposizione, cui si oppone il predicatore del sacerdozio sacro Tiresia, perde un figlio, che affronta la lotta in nome della Superiore Legge di Natura assieme ad Antigone, in opposizione all’Imposizione che si fa legge di Stato. Questioni di diritto, su cui la modernità e la contemporaneità hanno laicamente ragionato e deliberato. Il seppellimento come diritto naturale. Il seppellimento in terra libera, verrebbe da dire citando la Harper, che non può essere lo sterminato mare cui la nostra vicenda fa invece riferimento. Questione di diritto che diventa questione di dignità, di umanità.
Antigone dei Barconi però …
Le somiglianze fra l’Antigone classica e la nostra, quella dei Barconi, finiscono lì. Nelle sfumature di una struttura di base.
Ma non c’è nulla, se non qualche voluta, ubriaca citazione dalla tragedia sofoclea, che appai la nostra Antigone al modello di riferimento.
Perché è tutto ribaltato.
Antigone si chiamerà in mille modi diversi, non è definita nel nome, così come non lo è Ismene … non ci si chiama per nome, qui, ma si stabiliscono le relazioni sulla base delle funzioni: oppositrice, sorella di sventura, un povero vecchio che fa il traghettatore di corpi e di sfortune, un’ubriaca corifea portavoce di un sentimento di attenzione, compassione o di una sensazione di ineluttabilità, un politico che predica il proprio futuro. Antigone è definita solo come “comodità”, perché è Antigone colei che cerca la sepoltura, che cerca un riparo dalla violenza.
Ma tutto è ribaltato: il barcaiolo si chiama Creonte, ed è colui che avrà pietà, che è fragile di fronte all’imposizione, che bada alla sopravvivenza di sé, ma poi Antigone gli si fa figlia di sventura; il politico predicatore è Tiresia, e non ha nulla della sacerdotale forza preveggente che caratterizza l’originale, anzi è la meschinità, l’interesse esclusivo in nome di sé … non ci sono uccelli per auspici, se non quelli che evoca per il pasto sacrilego della carne dei migranti.
La Corifea non canta la lucidità di un “nous”, di un pensiero alto, non provvidenziale ma comunque sacro, cui si riferiva Sofocle sempre nei suoi cori – anche in quelli dell’“Edipo Re”, padre di Antigone – ma è una Corifea ubriaca, che soggiace ai voleri e alla prepotenza, eppure guarda, osserva, riporta, si impietosisce ma non interviene. Il tutto si svolge sull’arenile, sabbia da cui spunta un relitto di barcone ma invaso da giubbotti di salvataggio, o da povere cose: vestiario umile, berretti, guanti … immondizia, scarto. Qualche rete da pesca. Su quell’arenile, su quella spiaggia che sarebbe in realtà proprietà di un Bagno turistico, dove sventolano un paio di ombrelloni che vengono chiusi, a significare l’inizio di una giornata estiva in piena regola, normalmente fra la musica e l’indifferenza delle persone, approdano fortunosamente di notte le superstiti dell’ennesimo disastro di immigrati: un gommone, un barcone, tradotto da un barcaiolo siciliano – il nostro Creonte – si è schiantato lì presso, e Antigone ed Ismene si ritrovano assieme, entrambe scampate dalla violenza dei campi di accoglienza libici, entrambe abusate, vittime di sopruso, sorelle di sventura appunto. Creonte non vuole pietà, magari vuole nasconderle, sottrarle alla vista del più alto potere di uno “stato nello stato” che lucra sulla migrazione clandestina e schiavizzante, sugli schianti stessi dei barconi magari; ma il Potere arriva, nelle vesti pulite, nell’eleganza arrogante di Tiresia. Ad un certo punto il dramma è percepito da diverse soluzioni, dai punti di vista differenti dei protagonisti … diventa un “come potrebbe andare se” … ma il destino è ineluttabile – in questo Tiresia forse incarna ancora lo strumento del destino che non cambia, non parla più con la voce profetica del rispetto, ma si traduce egli stesso in arma vivente, in violenza fatta persona. Per cui la fine terribile è segnata: Antigone viene uccisa, Ismene sarà carne da prostituzione, Creonte piange la figlia dei flutti che ha trovato, nuova, nella persona di Antigone. Tiresia ne esce comunque e sempre vivo, da qualunque parte stia.
L’indifferenza di una nuova giornata di sole, con gli ombrelloni che si riapriranno – forse qualcuno sarà passato a pulire il sangue sparso in terra per il colpo alla nuca inferto ad Antigone, forse qualche turista si lamenterà ma non troppo per tutta quella sporcizia dal mare – mette una pietra tombale sul dramma di gente a cui pensiamo sempre troppo poco, come tomba è divenuto il Mediterraneo delle speranze. La più grave crisi energetica degli ultimi anni, e la più grave anche alimentare, finiranno per acuire la disperata lotta per la sopravvivenza del più naturale dei diritti: quello del decoro della morte, non separabile da quello di una vita vissuta in dignità.
Ed è questo che il nostro progetto alla fine vuole raccontare.
LA COMPAGNIA
Siamo un’impresa di produzione e innovazione teatrale, presidio culturale e punto di riferimento per il teatro shakespeariano a Verona e nel Veneto. Riconosciuta dal Ministero della Cultura nel 2021. Scriviamo, mettiamo in scena e produciamo teatro in lingua inglese e in italiano, ispirato ai grandi temi universali esplorati da William Shakespeare nelle sue opere.
Per farlo, abbiamo fondato una casa. La casa di Shakespeare. Solimano Pontarollo è CEO. Andrea De Manincor il Direttore Artistico.
Shakespeare, come altri grandi poeti, autori e pensatori, è stato un elemento determinante nella creazione della Cultura Comune Europea. Verona e il Veneto godono di un privilegio unico: Shakespeare l’ha immaginati come ambientazione di più opere, riconoscendone un ruolo principe nella sua poetica.
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